"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


giovedì 22 marzo 2018

Firmato a Kigali l'accordo per l'area di libero scambio africana

E' stato firmato ieri a Kigali, in occasione del decimo vertice straordinario dell'Unione africana, lo storico accordo che istituisce una zona di libero scambio continentale (Zlec), considerata essenziale per lo sviluppo economico dell'Africa.Per ora hanno sottoscritto l'accordo  quarantaquattro paesi africani. Non lo hanno fatto  paesi come la Nigeria, una delle principali economie del continente, che ha chiesto più tempo per le consultazioni interne, l'Eritrea, il Burundi, la Namibia e la Sierra Leone. Hannno invece sottoscritto l'accordo paesi altamente protezionisti, come l'Algeria. L'Unione Africana  ritiene che la graduale eliminazione delle tariffe tra i membri di Zlec aumenterà il livello degli scambi intra-africani del 60% entro il 2022.Attualmente, solo il 16% dei paesi africani commercia con altri paesi del continente.L'accordo entrerà in vigore entro la fine dell'anno, dopo la ratifica  a livello nazionale dai paesi firmatari.Quando l'accordo entrerà in vigore, ha detto Kagame presidente per il 2018 dell'assemblea dell'Unione Africana,  avrà un impatto sul benessere degli africani e migliorerà la qualità dei legami con il resto del mondo, andando ad interessare un mercato continentale di oltre 1,2 miliardi di persone, con un prodotto interno lordo combinato di oltre 3,4 trilioni di dollari.Oltre all'accordo,  27 paesi hanno accettato di facilitare la mobilità delle persone attraverso il continente firmando il protocollo sul movimento delle persone in tutta l'Africa.

giovedì 15 marzo 2018

Rwanda 1994:gli aiuti internazionali fattore decisivo per ripartire

Pubblichiamo la Postfazione del libro Aiutiamoli a casa loro. Il modello Rwanda. L'ebook è scaricabile da Amazon cliccando qui.
Postfazione
Dalle risultanze di questo lavoro, sembra emergere, con sufficiente evidenza fattuale e numerica, l’efficacia degli aiuti quale strumento di sviluppo di un paese le cui condizioni di partenza, appena uscito da una sanguinosa guerra civile e tra i più poveri del mondo, mai avrebbero lasciato presagire un simile percorso sulla strada della ricostruzione sociale e della ripresa economica. Anche se il modello Rwanda avrebbe tutti i requisiti per imporsi quale esempio per molti altri paesi africani, non nutriamo particolari illusioni che tale esperienza possa suscitare qualche forma di riflessione in chi, prigioniero di una lettura ideologica del fenomeno migratorio, arriva ad affermare, con invidiabile sicurezza, che parlare di aiuti “significa scaricare il problema”. Problema che non trova, tuttavia, valide soluzioni neppure nel modello di un’accoglienza alla prova dei fatti incapace di dare risposte efficaci alle stesse istanze dei nuovi venuti, cioè posti di lavoro allo stato inesistenti. Accoglienza che finisce quindi a ridursi a passiva attesa di chi, avendone i mezzi, è in grado di accollarsi viaggi drammatici, anche a rischio della vita, per arrivare fin sulle coste dell’Europa.Nel caso del Rwanda tale modello si sarebbe rivelato drammaticamente inefficace: centinaia di migliaia di rifugiati ruandesi sarebbero, ancora oggi dopo quasi 25 anni, relegati nell’inferno di Goma e degli altri campi profughi delle zona, in attesa che qualcuno vada da loro ad aiutarli. E tanto basterebbe per instillare qualche dubbio sulla drammatica inefficacia di un modello, quello della sola accoglienza, che ritiene di poter rispondere alle sfide epocali, che ci vengono dalle centinaia di milioni di persone del sud del mondo, semplicemente prendendosi comoda cura di poche decine di migliaia di migranti economici.
Accoglienza e aiuti allo sviluppo: il dilemma dell’uso alternativo delle scarse risorse
Il confronto tra due diversi approcci al fenomeno migratorio, prevalentemente alimentato da inevitabili e fuorvianti riferimenti ideologici, va altresì riportato su un terreno più concretamente economico.

martedì 13 marzo 2018

Bilancio 2017 dell'Associazione Kwizera

Il bilancio 2017 dell’associazione Kwizera onlus si è chiuso con una raccolta fondi di 79.467  euro, in aumento rispetto a 72.760 euro dell’anno precedente.
Le principali voci della raccolta riguardano: le adozioni a distanza e il sostegno all’infanzia per 21.743 euro, contro 26.252 euro del 2016, contributi ed erogazioni liberali per 45.584 euro (36mila euro nel 2016)  e 7.605 euro revenienti dal 5 per mille per l'anno 2015, in linea con quelli dell'anno precedente,  e 3.250 euro ( 2.400) da sponsor del calendario. In Rwanda sono stati inviati 75.150 euro (69.000 nel 2016), pari al 94,56%  di quanto raccolto, essendo le spese di funzionamento contenute nei limiti fisiologici di  3.705 , inferiori rispetto a quelle del 2016 (4.776,11 euro) che scontavano una spesa straordinaria  di 1.039 euro per la donazione  di un fibrillatore destinato alla comunità di Gallicano.
Poiché all’inizio del 2017 c’era una giacenza in Rwanda di un corrispettivo 17.700 euro e a fine anno un residuo di 6.200, nel corso dell’intero 2017 sono stati impiegati sul territorio, a favore della popolazione locale,  un totale di 86.650 euro.
L’intervento più significativo del 2017 ha riguardato la realizzazione dell’acquedotto di Rubaya e Kagugo, che ha richiesto un investimento di circa 18.000 euro, interamente finanziati dalla famiglia Accorsini di Camporgiano. Altri 17.500 euro sono andati al progetto adozioni che coinvolge circa 200 bambini e ragazzi, e all’assistenza all’infanzia compresa la gestione dell’asilo Carlin; la somma è inferiore  a quella dell’anno precedente (21.000 euro circa) in conseguenza di una forte rivalutazione dell’euro nel corso del 2017. Il residuo della somma raccolta per le adozioni e l’assistenza ha concorso ad alimentare il Progetto JMV, borse di studio agli studenti del Petit Seminaire di Rwesero, che ha comportato un esborso di 3000 euro. Circa 26.000 euro (40.000 euro nel 2016)  sono stati destinati al  Progetto Amazi  per l'acquisto di altre  cisterne: 28 da 10.000 litri e 5 da 5.000 litri, portando il numero complessivo delle cisterne distribuite in questi anni a oltre 170 cisterne. Al Progetto Non di solo pane, a sostegno del nuovo monastero delle Clarisse a Nyinawimana, sono andati 5.150 euro, al   Progetto Mikan  4.500 euro (4.000 nel 2016), mentre all'erogazione di prestiti sono andati 5.500 euro (al netto di un rientro di 1000 euro). Gli arredi della sala polivalente del Centro scolastico di Kiruri ha richiesto 1700 euro, mentre i compensi del veterinario sono stati di 800 euro. I richiamati interventi hanno quindi richiesto  una spesa complessiva di 82.150 euro. I residui 4.500 euro sono andati alle spese di funzionamento della struttura locale (affitto ufficio, compenso collaboratori locali, spese amministrative d'ufficio, trasporti e spedizioni) oltre che offerte per sante messe.

giovedì 8 marzo 2018

Rwanda 5° al mondo per parità di genere


Riprendiamo dall'ebook Aiutiamoli a casa loro. Il Modello Rwanda disponibile su Amazon il box dedicato alla situazione della donna nel paese delle mille colline.
Uno degli obiettivi che facevano da contorno ai sei pilastri base di Vision 2020 era il raggiungimento della parità di genere. Il perseguimento di questo obiettivo è un risultato che tutti gli osservatori internazionali riconoscono con un alto grado di unanimità al Rwanda, tanto da farne uno degli argomenti più utilizzati in sede di presentazione del Paese sui media mondiali. Il Rwanda si piazza, infatti, al 5° posto al mondo nella classifica del   Global Gender Gap Report 2016, stilato dal World Economic Forum, che si occupa di misurare i passi avanti fatti verso la parità di genere, prendendo in considerazione le chance date ad entrambi i sessi negli ambiti di economia, salute, istruzione, rappresentanza politica e lavoro, con l’Italia che si piazza al 50° posto. Il risultato risente sicuramente del dato più eclatante: essere il Rwanda il Paese con la più alta quota di parlamentari donne in tutto il mondo. Infatti, le ultime elezioni del settembre del 2013 hanno assegnato alla rappresentanza femminile 51 degli ottanta seggi della Camera dei deputati: oltre ai 24 seggi loro riservati costituzionalmente, le donne si sono aggiudicate 26 dei 53 seggi in palio e uno dei due seggi riservati ai giovani. La Camera dei deputati ha quindi una predominanza rosa al 63,75 per cento, migliorando anche il già elevato 56 per cento della precedente legislatura. Anche al Senato, composto da 25 membri non eletti direttamente ma scelti con altri criteri, le donne occupano 10 seggi. Complessivamente, su 105 parlamentari che compongono le due camere, le donne detengono quindi 61 seggi, pari al 58 per cento. Secondo gli ultimi dati disponibili dell'Unione interparlamentare, a livello mondiale, la rappresentanza media delle donne alla Camera si attesta al 21,3 per cento, 18,8 per cento al Senato, con una media del 20,9 in entrambe le Camere. Folta è anche la rappresentanza in seno al governo: il nuovo gabinetto entrato in carica nel settembre 2017 annovera ben 12 ministri donne su 18, fra cui il ministro degli esteri. Ma non è solo la rappresentatività in campo politico a ad elevare gli standard di parità di genere. Infatti, il Report così fotografa la situazione del Rwanda: "si avvicina al superamento della soglia dell'80% nel gap e si mette alle spalle l'Irlanda, entrando tra i primi cinque per la prima volta da quando c’è la classifica. Ciò è dovuto principalmente ai miglioramenti nel suo punteggio nel sotto indice Partecipazione economica e opportunità, in cui il Paese recupera sei punti rispetto allo scorso anno a seguito di una migliore parità di reddito percepito stimato. In campo educativo il divario di genere permane, tanto che la posizione è solo 112°, nonostante il miglioramento nell'iscrizione all'istruzione terziaria. È stata raggiunta la parità di genere per l'iscrizione al livello primario e secondario, con un rapporto tra ragazze e ragazzi di 1,03 nelle scuole primarie e 1,12 nelle scuole secondarie. Permangono differenze di genere a livello di istruzione superiore dove le donne costituiscono il 44% dell'iscrizione terziaria e il 33% di quelli di altre istituzioni pubbliche. Il suo gap di genere nell'indice Salute e Sopravvivenza rimane aperto, ponendolo al 94 ° posto nel mondo". Un altro dato interessante ci viene da  un  rapporto del 2016 curato dall’ Save the Children, “Every Last Girl: Free to live, free to learn, free from harm” che stila la classifica dei Paesi del mondo dove è più facile essere bambine e ragazze e dove si hanno maggiori opportunità di crescita e di sviluppo, sulla base di cinque parametri - matrimoni precoci, numero di bambini per madri adolescenti, mortalità materna, completamento della scuola secondaria di primo grado e numero di donne in Parlamento. Il Rwanda “sta anche facendo relativamente bene nel prevenire i matrimoni precoci e le gravidanze adolescenziali rispetto ad altri paesi a basso reddito”. Infatti, in un panorama africano che vede il Niger come il posto peggiore al mondo dove essere una bambina o una ragazza, preceduto da Ciad, Repubblica Centrafricana, Mali e Somalia, che si caratterizzano per numeri molto alti di spose bambine, si salva il solo Rwanda, dove solo 8,1 donne tra i 20 e 24 anni di età erano già sposate all’età di 18 anni, contro le 76,3 del Niger e le 68,1 del Ciad. Non è solo in parlamento che la donna ruandese ha conquistato una posizione di rilievo, ma anche nell’economia con molte donne a capo di imprese familiari, piuttosto che nell’amministrazione pubblica, nell’esercito e nei corpi di polizia. Come quella giovane ex militare che abbiamo incontrato nella provincia del Nord, nel ruolo di sovraintendente di un centinaio di prigionieri impegnati nei Travaux d’Intérêt Général –TIG, Lavori d’interesse generale.

domenica 4 marzo 2018

Rwanda from Goma to Davos, an example of development for Africa


Available on Amazon by clicking here
The introduction of the book "Aiutiamoli a casa loro Il modello Rwanda" From Goma to Davos, from the chasm of a civil war to an example of development for Africa, thanks to aid and good governance.  
INTRODUCTION
It was a cold sunny day in late January and the old priest could never have imagined that one of those long white trails, left by the jet in the clear Valtellina sky, could even remotely remind him the same bloody drama wich he witnessed many years before. Otherwise on one of those jets about to land in the nearby Engadine, Switzerland, a large Rwandan delegation was traveling ready to take part in the World Economic Forum in Davos in 2018.
The dramatic reality he had faced in that summer of 1994 seemed so far to the priest, who represented the Italian Caritas in those years and had brought aid to the refugee camp of Goma in Zaire (today the Democratic Republic of the Congo).

Aiutiamoli a casa loro.Il modello Rwanda

Riportiamo l'Introduzione del libro Aiutiamoli a casa Il modello Rwanda Da Goma a Davos, dal baratro della guerra civile a esempio di sviluppo per l'Africa, grazie agli aiuti e alla buona governance.
Il libro e' disponibile in formato e-book su Amazon.

Introduzione
Mai l'anziano sacerdote avrebbe potuto immaginare che una di quelle lunghe scie bianche, lasciate dai jet nel limpido cielo valtellinese di una fredda giornata di gennaio, potesse, anche solo lontanamente, richiamare il dramma di cui, tanti anni prima, era stato partecipe e commosso testimone. Eppure, su uno di quei jet, in procinto di atterrare nella vicina Engadina, in Svizzera, viaggiava una folta delegazione ruandese pronta a partecipare al World Economic Forum di Davos del 2018. Così lontano era, infatti, la drammatica realtà che il sacerdote si era trovato di fronte in quell’estate del 1994, quando, in rappresentanza della Caritas italiana, aveva portato aiuti al campo profughi di Goma nello Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo).Là dove un’umanità disperata di rifugiati ruandesi viveva gli ultimi sussulti di una feroce guerra civile, in una sorta di girone dantesco, cui faceva da cornice una cappa di fuliggine nera sollevata dalla terra vulcanica del campo. Più di venti anni separano quella scia sfavillante tracciata nell’azzurro cielo valtellinese dalla cupa atmosfera del campo di Goma. Anni trascorsi alla ricerca di un faticoso riscatto, grazie alla resilienza di un popolo coraggioso e al supporto di una comunità internazionale ansiosa di mondarsi di qualche colpa del passato. Dal 1994, conclusa la tragica guerra civile, il popolo ruandese vive in pace, una situazione non particolarmente diffusa in Africa. Basterebbe questo dato per apprezzare il percorso compiuto dal Rwanda in questo ventennio. In realtà, oltre a questo dividendo politico che, di anno in anno, la governance espressa dal presidente ruandese Paul Kagame è stata in grado di garantire ai propri governati, vi è una sorta di valorizzazione del capitale sociale, sottoscritto all’indomani della tragedia ruandese, conseguente allo sviluppo che il Paese ha compiuto in questi anni. Il Rwanda, un Paese di dodici milioni di abitanti, facente parte di quei 58 paesi dell’ultimo miliardo a rischio di diventare sempre più poveri, attraverso gli aiuti internazionali supportati dall’impegno della sua governance, è stato messo nelle condizioni, all’uscita del sanguinoso conflitto che insanguinò il Paese dal 1990 al 1994, di ricostituire la propria statualità e ritessere le trame di un tessuto sociale lacerato. Attraverso il perseguimento di una forte identità nazionale, innervata dalla riscoperta dei valori della tradizione, una sorprendente apertura all’innovazione e moderni modelli gestionali, l’attuale governance ruandese è riuscita a dare vita a un modello sociale vincente. Sembra, infatti, potersi dire che si siano create in Rwanda le condizioni perché un cittadino ruandese valuti che i propri figli possano vivere dignitosamente nel proprio Paese, non lasciandosi attrarre, come succede per altri abitanti del continente africano, dal richiamo di improbabili avventure nei paesi occidentali. Va anzi sottolineato come il nuovo Rwanda sia stato capace di favorire il rientro di oltre tre milioni di ruandesi rifugiati nei paesi confinanti, a partire dall’indipendenza e in conseguenza della guerra civile. Senza dimenticare l’impegno delle autorità ruandesi, attraverso il programma "Come and see, Go and Tell – "Vieni e vedi, vai e racconta", di favorire il rientro dei componenti della diaspora ruandese sparpagliati nel mondo per concorrere allo sviluppo dell’economia e delle istituzioni del Paese. Percorso che il Rwanda ha iniziato grazie agli aiuti internazionali, confluiti nel Paese successivamente alla tragedia del 1994, che hanno trovato una governance capace di farne buon uso, con un approccio originale, in cui l’agenda del loro utilizzo non è mai stata quella dei donatori, ma quella decisa dai governanti ruandesi. Aiuti internazionali e buona governance hanno così fatto del Rwanda, Paese penalizzato dalla mancanza di risorse minerarie proprie, privo di accessi al mare, esposto a possibili rigurgiti di conflitti interetnici, uno dei paesi meglio organizzati del continente africano. Come autorevolmente sottolineato dalla Banca Mondiale che, in un proprio rapporto del novembre 2017, riconosce come “il Rwanda sia stato in grado di realizzare importanti riforme economiche e strutturali e di sostenere i suoi tassi di crescita economica che, tra il 2001 e il 2015, hanno registrato una media della crescita del PIL reale di circa l'8% annuo. Accompagnando la forte crescita economica con sostanziali miglioramenti degli standard di vita, con un calo dei due terzi della mortalità infantile e con una frequenza quasi universale della scuola elementare, oltre che con il conseguimento, entro la fine del 2015, della maggior parte degli Obiettivi di sviluppo del millennio (OSM).Una forte attenzione alle politiche e alle iniziative nazionali ha contribuito a migliorare in modo significativo l'accesso ai servizi e agli indicatori di sviluppo umano. Il tasso di povertà è sceso dal 44% nel 2011 al 39% nel 2014, mentre la disuguaglianza misurata dal coefficiente di Gini è scesa da 0,49 a 0,45.” Pur essendo ancora significativa la dipendenza dagli aiuti, c’è l’impegno del governo ruandese a mettere in campo politiche volte ad attenuarne nel tempo l’incidenza. Mentre l’efficace gestione delle risorse, resesi disponibili nel corso di questi anni, è stata autorevolmente riconosciuta dal report sull'efficienza dei governi nel 2014 stilato dal World Economic Forum, una speciale classifica che pone in relazione i risultati raggiunti dai singoli governi con le risorse impiegate, che attribuisce al governo del Rwanda un prestigioso settimo posto a livello mondiale (a fronte di un’Italia relegata al penultimo posto). Viene riconosciuto al governo ruandese soprattutto il basso livello di spreco nella spesa pubblica; in ultima analisi si dice che il Rwanda ha saputo e sa fare un ottimo utilizzo delle risorse proprie e di quelle ricevute dai donatori internazionali. Senza dimenticare gli sforzi compiuti per creare le condizioni di sicurezza e di facilitazione del fare impresa per richiamare investitori internazionali a dare vita a nuove imprese nel Paese. Grazie anche all’apporto, in via sussidiaria alle autorità civili, della Chiesa cattolica e delle altre confessioni cristiane presenti nel Paese (cattolici e protestanti rappresentano circa il 90% della popolazione, una delle più alte sul continente) in campo educativo e sanitario, con centinaia di scuole di ogni ordine e grado, con centri di sanità, assistenza di base e ospedali, sono stati conseguiti gli obiettivi del millennio nei richiamati settori. Nel tempo, a fatica e pur fra mille contraddizioni, in cui il percorso nella conquista delle libertà civili è ancora lungo e accidentato e il solco che divide il livello di vita tra città e campagne rischia di accentuarsi, si stanno purtuttavia creando in Rwanda le condizioni perché il diritto a rimanere non sia un vuoto slogan, ma una reale alternativa, e la tentazione di migrare non faccia breccia nei giovani ruandesi che, in effetti, non sono tra i migranti che sbarcano dai barconi. E questo perché qualcuno, in anticipo di anni sui primi barconi solcanti il Mediterraneo, li ha aiutati a casa loro: dalle grandi istituzioni internazionali ai paesi donatori, dalle grandi ONG fino alla più piccola delle onlus e all’ultimo dei volontari.

venerdì 2 marzo 2018

Rassegna stampa

Riportiamo la pagina dedicata da Il Settimanale della diocesi di Como alla Missione Kwizera2018.