"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


domenica 29 gennaio 2017

La primavera vocazionale delle clarisse di Kamonyi, guidate da una badessa italiana

Mentre moltissimi monasteri di clausura italiani si devono misurare con il continuo calo delle vocazioni, tanto che le comunità monastiche sono composte, in prevalenza, da suore di età piuttosto avanzata, qui in Rwanda è un fiorire di vocazioni monastiche tra le giovani rwandesi. Ne abbiamo avuto conferma visitando il Monastero delle Clarisse di Kamonyi, a pochi kilometri da Kigali sulla strada per Butare, dove ci siamo recati per ritirare un piviale confezionato nella sartoria liturgica conventuale. Con grande sorpresa abbiamo saputo dalla suora rwandese che ci ha fatto la consegna, che la loro madre badessa era italiana e ben volentieri avrebbe scambiato qualche parole con noi.
Suor Giuseppina a Nyinawimana
Di li a poco si è presentata dietro la grata, per la verità  a riquadri molto ampi, una sorridente suora  dall’aspetto e dalle movenze che ne denotavano una certa giovanile energia nonostante un’apparente età oltre la cinquantina: è suor Chiara Giuseppina Garbugli, originaria di Urbino. Ci racconta della sua esperienza rwandese non prima di essersi informata sulla situazione delle aree terremotate; in convento le notizie che arrivano, non essendoci né radio né televisione,  sono solo quelle portate dai fedeli  o dal sacerdote che quotidianamente celebra la santa messa. Suor Giuseppina è da oltre trenta anni in Rwanda, da quando agli inizi degli anni ottanta fu inviata qui dalla sua comunità di Assisi, unitamente a una consorella, suor Miriam,  per dar vita a una comunità di clarisse, che a partire dall’agosto 1985 prende  possesso del bel monastero di Kamonyi . Oltre trenta anni lontano dall’Italia, salvo un unico ritorno nel 1994,   all’indomani della guerra civile che la costrinse ad una precipitosa fuga, salvo poi tornare, dopo  un paio  d’anni, per riavviare il convento che, pur saccheggiato di tutto quanto era asportabile,  era stato risparmiato almeno nelle sue strutture dalle distruzioni della guerra. Grazie all’aiuto di tanti benefattori, primo fra tutti papà Lino, il bresciano Lino Corti che per anni trascorse qui diversi mesi all’anno a prestare la sua opera di manutentore universale, suor Giuseppina  è riuscita a  a riavviare il convento riunendo  la comunità dispersa dalla guerra.  Da lì si riaperta una nuova stagione di fruttuosa  semina  se oggi sono ben 45 le suore presenti in convento. Non sono le uniche vocazioni nate in questi anni, perché man mano che la comunità cresceva, veniva data vita ad un’altra comunità dapprima in Rwanda e poi una nel Burkina Faso, che con il tempo si sono date una articolazione autonoma. Una nuova comunità sarà presto attiva a Nyinawimana, su una delle colline rwandesi che i nostri lettori ben conoscono per gli interventi che lì sono stati fatti dall’Ass. Kwizera.Ben 7 sorelle sono state invece inviate in Italia, al seguito della consorella delle origini, suor Miriam, che presiede  una comunità monastica con altrettante consorelle italiane, a Matelica nelle Marche in un convento voluto a suo tempo da un  cittadino matelicano illustre, il fondatore dell’ENI Enrico Mattei.

Suor Giuseppina se ne sta qui con le sue 45 consorelle, scandendo le proprie giornate tra preghiera e adorazione e le attività lavorative, che rendono autonoma la comunità, come il confezionamento di paramenti liturgici, la realizzazione di icone e la produzione di miele, anche se in questo momento l’alveare è stato praticamente decimato da un’epidemia. Per questo non abbiamo potuto approvvigionarci dell’ottimo e apprezzato  miele delle clarisse. Tanto apprezzato che , come ricorda con una certa ironia  la madre badessa,  qualche commerciante disonesto di Kigali  ha anche pensato bene, vista la provenienza, di sottoporlo a una sorta di miracolo laico, allungandolo con altro di scarsa qualità, vedendosi, peraltro, immediatamente sospesa ogni fornitura. Lavoro inframmezzato anche  da qualche momento di ricreazione in cui, come sottolinea suor Giuseppina, l’anima allegra delle consorelle rwandesi ha modo di esprimersi in tutta la sua vitalità. L’apprezzamento per la spiritualità e la dedizione delle consorelle rwandesi alla loro missione spinge suor Giuseppina ad auspicare un rivitalizzante innesto di queste energie africane sul tronco, spesso rinsecchito, di tante comunità conventuali del nostro paese. E chissà se la madre badessa  limitava questa missione al  solo  suo piccolo monastero e non, magari, a un più ampio apporto della Chiesa africana a  quella universale. 

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