"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


lunedì 29 agosto 2016

La sfida dell'autosufficienza alimentare: dal villaggio batwa al continente

In questi giorni sta ripartendo il progetto agricolo presso la comunita'  batwa di Kibali.Dopo la favorevole esperienza che a partire dal 2011 aveva visto l'avvio di lavori agricoli presso la comunità batwa di Kibali e la successiva fase di grave involuzione che aveva frenato il processo d'integrazione delle famiglie che vivono in quella comunità, si tenta faticosamente di rimettere in piedi un progetto che a regime vedrebbe, di nuovo, la messa a cultura dei terreni disponibili, circa otto ettari di terreno terrazzato.Sotto la guida dei tecnici della Caritas di Byumba, un ettaro di terreno verrà messo a coltura con la semina di patate.L'esito del progetto è tutt'altro che scontato; troppo spesso,infatti, il fallimento e' dietro l' angolo quando si ha a che fare con i batwa.
A Kibali, l'incapacità di sfruttare gli otto ettari di terreno disponibile balza immediatamente all'occhio, suscitando le critiche più aspre anche da parte degli amici rwandesi, in cui serpeggia spesso un pregiudizio negativo sui batwa.
Eppure, quegli otto ettari di terreno agricolo di Kigali, rimasti incolti, sembrano quasi una  replica in  sedicesimo di quello che succede nel continente africano. 
Ce lo ricorda  Kanayo F. Nwanze, presidente dell'IFAD- Fondo Internazionale delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Agricolo (IFAD) in occasione della sesta Conferenza Internazionale di Tokyo sullo sviluppo africano (TICAD), che si tiene in questi giorni a Nairobi, in Kenya.
Nonostante oltre l'80 per cento della popolazione africana sia dedita all’agricoltura,  il continente genera solo il 10 per cento della produzione agricola mondiale, mentre pur avendo un quarto delle terre coltivabili del mondo,  l'Africa spende ancora m 35 miliardi di dollari l'anno per l'importazione di prodotti alimentari.
"Se anche solo una parte del denaro utilizzato per le importazioni alimentari fosse stato speso per la creazione di posti di lavoro nelle zone rurali, non solola più grande  popolazione giovanile al mondo potrebbe aspirare a un futuro sostenibile sul continente, ma l'Africa sarebbe in grado di nutrire se stessa", ha detto Kanayo F. Nwanze.
Anche se l'Africa è la regione economica con il secondo più veloce indice di crescita al mondo, più di 300 milioni di africani vivono al di sotto della soglia di povertà e di questi la maggior parte vive nelle zone rurali e dipende dall'agricoltura per il proprio sostentamento. I tassi di disoccupazione sono quasi il 40 per cento.
Non tanto diversa è la situazione del Rwanda costretto, secondo il Ministro di Stato per l'Agricoltura, Tony Nsanganir, a spendere circa $ 200 milioni in importazioni alimentari ogni anno: si tratta di zucchero, cereali e riso, nonché prodotti alimentari trasformati , in assenza di industrie rwandesi in grado di trattare i prodotti agricoli.Per il solo comparto dei cereali, il rapporto sulla sicurezza alimentare e la vulnerabilità per il 2015, rilasciato dal ministero, indica che il commercio formale di cereali ha mostrato un saldo commerciale "negativo" sia nel  2013 che nel 2014, quando si è evidenziato un deficit di 268.000 tonnellate , a fronte di una produzione totale di cereali in Rwanda  di circa 583.000 tonnellate.

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