"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


martedì 6 gennaio 2015

Non dimentichiamoci dei batwa di Kibali


Il grave degrado in cui è caduto il villaggio della comunità batwa di Kibali, per diversi motivi che abbiamo illustrato in precedenti post, impone a chi sta a cuore la sorte di questa comunità una presa di posizione decisa. Le parti in causa interessate, istituzioni civili, diocesi cattolica e protestante, Caritas e l'Associazione Kwizera, dovrebbero confrontarsi per verificare se esistano i presupposti per riprendere il progetto, sulla base di chiari e coordinati impegni. Per cominciare si potrebbe rimettere a coltura i sette ettari di terrazzamento realizzati negli scorsi anni dall'ass. Kwizera e che erano già stati coltivati per due stagioni con risultati positivi. La Caritas, o altro soggetto interessato, potrebbe prendere in carico la gestione utilizzando la manodopera batwa sotto la direzione di un agronomo.Il modello potrebbe essere quello applicato in un'esperienza di cui abbiamo parlato in passato: la Fattoria dei tre terzi. La comunità batwa, a cui appartengono i terreni, mette a disposizione i terreni stessi, i batwa interessati contribuirebbero con il proprio lavoro, mentre l'Ass. Kwizera e altri donatori coprirebbero le spese. Al termine della stagione agricola il raccolto verrebbe diviso in parti uguali fra i proprietari (le famiglie della comunità), i contadini che vi hanno lavorato e i finanziatori. Come si vede si tratta di un esperimento dai costi contenuti che potrebbe però ridare vita a un progetto che per cinque anni è marciato, anche al di là delle più ottimistiche previsioni, e che ha avuto successivamente una grave involuzione anche per grossolani errori commessi da taluni degli attori locali ed esterni. 

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