"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


venerdì 4 aprile 2014

Speciale di Avvenire: Vent'anni dopo i massacri

Il numero odierno di Avvenire dedica due intere pagine la quattro e  la cinque al ventennale della tragedia rwandese.  Oltre al discorso tenuto ieri da Papa Francesco ai Prelati rwandesi in visita ad limina e un’analisi di Paolo A. Alfieri sulla situazione dell’area dei Grandi Laghi,  lo speciale dal  titolo “Vent’anni dopo i massacri”, ospita, a firma dell’inviato Claudio Monici,  un ‘intervista con l’ex console onorario italiano del tempo, Antonio Costa, un reportage dal sacrario di Nyamata e poi una rappresentazione dell’odierno Rwanda, come se ne sono lette tante, che sembra uscita dall’ufficio stampa della presidenza.Sotto un effluvio di cifre che dovrebbero testimoniare i grandi progressi economico-sociali del paese ( che ci sono) non si trova, infatti, traccia di  quelle contraddizioni che altri testimoni ( vedi post del 2 aprile), forse  più attenti, ritengono emergere nel Rwanda presieduto da Paul Kagame. Non serve certo a riequilibrare il quadro, il breve inciso “certo, c’è anche un altro Rwanda specialmente se parliamo di diritti umani, di libertà di informazione, di potere politico e diritti civili”, per giunta attribuito a un interlocutore locale. Se fai un viaggio fino a Kigali dovresti almeno cercare di dare qualche riscontro a un simile assist che il tuo interlocutore ti offre. Particolarmente illuminante risulta invece l’editoriale in cui, a pagina tre dello stesso numero di Avvenire, con  il titolo ”Eredità che pesa e che chiede memoria” padre Giulio Albanese ci aiuta a meglio inquadrare il contesto storico in cui si colloca la tragedia rwandese e il ventennio che ne è seguito che gli fa concludere  come “forse mai come oggi, per onorare le centinaia di migliaia di vittime, sarebbe auspicabile promuovere una rilettura attenta di quanto avvenne, superando la  tentazione “del manicheismo che vuole dividere lo scenario tra buoni e cattivi, affermando la tesi dei vincitori, le truppe del Fpr” riconoscendo anche “la trasversalità delle responsabilità all’interno del Paese.” Senza inoltre dimenticare come “lungi dal voler legittimare i crimini perpetrati in patria dai ribelli hutu che, costretti alla macchia in territorio congolese, hanno spesso compiuto azioni malvagie in quella terra straniera, sarebbe ingiusto misconoscere il ruolo altamente destabilizzante ricoperto dal regime di Kigali nell’ex Zaire fino ai nostri tempi”. 

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