"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


giovedì 3 ottobre 2013

Crisi del Kivu: ulteriori tensioni per 200 famiglie di profughi rientrate in Congo


Il recente arrivo, nella parte orientale della Repubblica democratica del Congo (RDC) controllata dal movimento ribelle M23, di circa 200 famiglie provenienti dal Rwanda è il nuovo elemento che va ad alimentare le tensione in un’area già sufficientemente calda.I contendenti in campo danno una diversa versione dei fatti: da una parte il movimento M23 parla di famiglie tutsi congolesi che ritornano nel territorio d’origine, dall’altra le autorità congolesi ritengono si tratti di profughi rwandesi recentemente espulsi dalla Tanzania. Il tutto in assenza di una spiegazione dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), che dovrebbe sovraintendere a questi tipi di problema, e del Rwanda firmatari, nel 2010, di un accordo con la RDC per regolare appunto la gestione dei profughi dell’area .Nell’un caso come nell’altro l’UNHCR dovrebbe, infatti, fornire delle spiegazioni. Se fossimo in presenza di profughi congolesi bisognerebbe comprendere come mai rientrino proprio ora in Congo solo queste 200 famiglie delle decine di migliaia di sfollati congolesi che  da anni marciscono nei campi profughi rwandesi, gestiti appunto dall’UNHCR ( vedi post). Nell’altro caso, sono comprensibili le preoccupazioni del governo congolese che vedrebbe un’infiltrazione di profughi rwandesi sul proprio territorio che potrebbero facilmente diventare, in futuro, motivo d’intromissione del Rwanda a tutela di propri connazionali, secondo una strategia consolidata delle autorità rwandesi che si sentono impegnate a proteggere le proprie minoranze nei paesi vicini ( un principio questo che ha sempre creato non pochi problemi in altre parti del mondo, a partire dall’Europa della prima metà del secolo ventesimo).E’ anche questa, molto probabilmente, la ragione alla base della decisione delle autorità tanzaniane di espellere, nelle settimane scorse, in maniera repentina e piuttosto brutale, alcune migliaia di rwandesi residenti da anni in Tanzania, di cui, secondo qualcuno, farebbero appunto parte le 200 famiglie di cui si parla. Come si vede l’episodio delle 200 famiglie di profughi, all’apparenza secondario rispetto alle dinamiche militari del conflitto in corso nel Kivu, non aiuta certo ad attenuare le forti tensioni in essere e, semmai,  disvela le strategie di alcuni degli attori della crisi.

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