"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


domenica 31 marzo 2013

Pasqua di pace per l'Africa

Dall'odierno messaggio Urbi et Orbi di Papa Francesco:
"Pace per l’Africa, ancora teatro di sanguinosi conflitti. In Mali, affinché ritrovi unità e stabilità; e in Nigeria, dove purtroppo non cessano gli attentati, che minacciano gravemente la vita di tanti innocenti, e dove non poche persone, anche bambini, sono tenuti in ostaggio da gruppi terroristici. Pace nell’est della Repubblica Democratica del Congo e nella Repubblica Centroafricana, dove in molti sono costretti a lasciare le proprie case e vivono ancora nella paura."
Buona Pasqua a tutti.

venerdì 29 marzo 2013

A King with no country. Un Re senza regno

Re Kigeli V
Ha governato il Rwanda per soli nove mesi prima di sfuggire a una rivolta e passare l’ultimo mezzo secolo, in esilio, a partire dal 2 ottobre 1961 peregrinando in paesi africani, per approdare, senza un soldo, nel 1992 negli Usa. Ora a  76 anni vive di assistenza pubblica e di piccoli commerci in un modesto appartamento di  una cittadina della Virginia, Oakton. Stiamo parlando di re  Kigeli V Ndahindurwa l’ultimo re rwandese,  al quale viene dedicato un lunghissimo reportage dAriel Sabar sul mensile americano The Washingtonian. Vi si ripercorre tutta la storia dall’infanzia all’ultimo periodo americano dove, senza un lavoro e con una conoscenza dell’inglese così scarsa da necessitare di un interprete, non se la passa certo da re, salvo la possibilità di conferire, dietro qualche liberalità,  titolo monarchico. Non traggano in inganno le foto ufficiali, tra cui quella riportata qui accanto; infatti, queste rare uscite ufficiali, in pompa magna, godono del  supporto finanziario della  Monarchist League, un’associazione  britannica che si batte per la conservazione e il restauro dei regni in tutto il mondo. Dagli Stati Uniti ha assistito impotente a tutta la tragedia rwndese del 1994, di cui aveva avuto sentore e che aveva in un certo senso previsto, quando  in una nota inviata alle Nazioni Unite il 21 marzo dello stesso anno, due settimane prima dell’abbattimento dellìaereo presidenziale che scatenò l’inferno, parlava apertamente di un  "caos terribile" ormai prossimo. Successivamente nel 1996, si dichiarò pronto a rientrare in Rwanda, come re costituzionale con un ruolo sul modello della monarchia britannica, se solo il popolo lo avesse voluto. Aspirazione prontamente stroncata da Paul   Kagame che incontrando re  Kigeli  all'hotel Willard InterContinental di Washington,  gli disse che era il benvenuto in Rwanda come privato cittadino, ma non come re. 

giovedì 28 marzo 2013

Il Fatto quotidiano affascinato dalla legge rwandese sulla trasparenza

 Governo italiano, per diventare trasparenti prendiamo esempio dal Rwanda suonava così il titolo  del post apparso sul blog del giornalista e avvocato  Guido Scorza, in cui veniva presentata la  legge rwandese sulla trasparenza emanata a inizio mese. Successivamente, a seguito di qualche commento piuttosto critico dei lettori,  al momento di pubblicare l'articolo  su Il Fatto Quotidiano, l'autore ha  cambiato il titolo in un più asettico:  Trasparenza, se l’Africa lo è più di noi,  con la giustificazione riportata al termine dell'articolo che potrete leggere qui.
Il fatto suggerisce due diverse riflessioni.
La prima: come  capita spesso sulla stampa italiana, il Rwanda è usato come termine di confronto, per la verità con una sottile  anche se del tutto involontaria vena razzistica, per rimarcare i difetti nazionali: come a dire se perfino il piccolo, sconosciuto, lontano e... ( metteteci tutto il campionario dei luoghi comuni con cui solitamente si immagina un paese del terzo mondo)  paese africano ci dà lezione su questo come su altri argomenti ( es. corruzione), siamo messi veramente male.
In proposito, merita essere ricordato il caso sbattuto in prima pagina proprio da Il Fatto quotidiano, prendendo spunto da un nostro post, di quel ministro rwandese dimessosi per un'innocente serata allegra trascorsa in compagnia di alcune ragazze.
La seconda: in questo come in altri casi è  interessante sottolineare  come i media occidentali  si accostino a quanto succede in Rwanda, con un approccio fortemente condizionato dall'alone positivo che promana dall'immagine internazionale del paese, dimenticando spesso un pur minimo senso critico che dovrebbe caratterizzare il buon giornalista. Salvo poi essere richiamati alla realtà dai propri lettori, come nel caso dell'articolo segnalato. 

mercoledì 27 marzo 2013

Se l'acqua diventa un bene a pagamento



Secondo una recente inchiesta dell’agenzia Syfia, nelle nazioni dei grandi laghi, RD Congo, Rwanda e Burundi, l’approvigionamento idrico per la popolazione sta diventando  un vero problema, pur con diversità sostanziali tra i tre paesi.
Nella Repubblica Democratica del Congo, secondo uno studio condotto nel 2011 da UNEP (United Nations Environment), 51 milioni di persone - tre quarti della popolazione - sono costretti a bere acqua  non potabile attinta da pozzi, fiumi e laghi inquinati. In Burundi,  la metà della popolazione non ha accesso all'acqua potabile e oltre l'80% delle malattie riscontrate nei centri di salute sono legate al consumo di acqua non trattata. Tra il 1993 e il 2007, il Burundi, per esempio, ha perso metà della sua capacità di produzione, mentre le esigenze di acqua potabile sono triplicate in 20 anni. Le città si sono  gonfiate in modo sproporzionato, aumentando la loro popolazione ed espandensosi per chilometri, complicando maledettamente  l’approvigionamento di acqua potabile. Per il Burundi attingere l'acqua al lago Tanganica diventa poi un rischio vero e proprio, visto l'altissimo livello di inquinamento delle sue acque, solcate quotidianamente da migliaia di imbarcazioni di pescatori che riversano nel lago i propri bisogni fisiologici.  
Decisamente migliore è la situazione del  Rwanda. Secondo le statistiche dell'Istituto Nazionale di Statistica, il numero di rwandesi che  hanno accesso all'acqua potabile è aumentato dal 77% al 87% nel corso degli ultimi 5 anni. Ma se i sistemi di approvvigionamento idrico esistono, moltissimi realizzati con i fondi degli aiuti internazionali, non tutti sono funzionanti. Il problema è imputabile, secondo le autorità locali, al mancato coinvolgimento della popolazione locale nella realizzazione e nella gestione di queste opere. In particolare viene evidenziata la  mancata formazione di personale tecnico,  in grado di riparare i guasti più semplici che dovessero crearsi, a cui affidare la manutenzione delle condotte o più semplicemente delle fontanelle erogatrici,. Secondo i responsabili delle comunità locali, il problema nasce anche  dal fatto che la gratuità dell’acqua non aiuta la responsabilizzazione degli utilizzatori che  difficilmente si prestano a intervenire su impianti che non sentono come propri. Così si assiste a un fenomeno che farebbe innorridire  i nostri difensori dell’acqua come bene pubblico; dove l'acqua è a pagamento la sua erogazione avviene senza problemi. Infatti, dove le famiglie sono chiamate a pagare  l’acqua nell’ordine di  200 FRW ($ 0,3) al mese, piuttosto che qualche franco alla tanica, si trovano anche i fondi necessari per garantire un’assistenza adeguata per l'erogazione dell'acqua potabile. Così ogni fontanella può godere di un custode pronto a intervenire se il rubinetto ha qualche malfunzionamento e si trovano anche i fondi per formare dei tecnici locali addetti alla manutenzione delle condotte, senza dover aspettare per mesi l'intervento di un tecnico proveniente da Kigali. In un simile contesto generale, in tutti e tre i paesi, in particolare nelle città, l'acqua è diventata un bene costoso per i consumatori, ma redditizio per chi ne cura la vendita o il trasporto, tanto che intorno all'approvigionamento idrico si viene a creare una vera e propria economia alternativa, senza che ciò ingeneri scandalo nella popolazione, almeno in Rwanda.

sabato 23 marzo 2013

PIL in crescita dell'8%, con un'economia a due velocità

Secondo i dati forniti dal Governo, l'economia rwandese, pur in un contesto congiunturale a livello mondiale piuttosto incerto e dovendo inoltre scontare il taglio di molti aiuti internazionali in conseguenza delle accuse di un  coinvolgimento del Rwanda nella crisi del Kivu, ha messo a segno nel 2012 un significativo progresso dell'otto per cento, superiore alle attese che erano del 7,7%, .Il risultato beneficia della forte avanzata del comparto servizi, che è cresciuto del 12 per cento e ha contribuito per il 45 per cento del PIL; l'agricoltura, che ha rappresenta il 33 per cento del PIL,  è cresciuta solo del tre per cento, mentre il settore industriale  è cresciuto del sette per cento, contribuendo per il 16 per cento del PIL.  Nel complesso, il prodotto interno lordo del paese (PIL), a prezzi correnti, è stato stimato in circa $ 6.8 miliardi di dollari  nel 2012, in crescita rispetto ai   6 miliardi di dollari dell'anno precedente, che comporterebbe un  PIL pro capite stimato in 644 dollari  contro i 593 dollari del 2011.  Il Ministro delle finanze, Amb. Claver Gatete, ha commentato con soddisfazione tali risultati  osservando che l'obiettivo di un reddito pro capite di  1000 dollari  potrà essere conseguito entro il 2017, in anticipo rispetto alle previsioni del 2020. A fronte di un dato globale sicuramente positivo, merita essere sottolineato il diverso trend di sviluppo che caratterizza l'economia rwandese; infatti,  il comparto dei servizi ( banche e servizi finanziari, commercio) viaggia a una velocità quattro volte superiore a quella del comparto agricolo. Se anche per il futuro sarà confermato questo differenziale di crescita, assiteremo all'accentuarsi del divario tra città ( economia dei servizi e industria)  e campagna (agricoltura). Già ora, grosso modo, gli abitanti delle campagne, rappresentanti circa l'ottanta per cento della popolazione e per la quasi totalità dediti all'agricoltura ( nel 2000 dati ufficiali indicavano nel 90% dell'intera popolazione attiva gli addetti all'agricoltura), si devono accontentare di non molto  più di quel terzo di PIL derivante dal comparto agricolo, a fronte del restante venti per cento che vive nella capitale e nelle altre principali città, che si spartisce, peraltro con evidenti ulteriori sperequazioni al proprio interno,  i restanti due terzi  della ricchezza prodotta. E' questa la vera sfida che attende l'autorita' di governo rwandese: Colmare gradualmente questo gap, palpabile in tutta la sua evidenza per chi esca da Kigali per andare nei villaggi, con opportune politiche di sviluppo che porti anche agli abitanti delle campagne livelli di benessere non troppo lontani da quelli cittadini; l'obiettivo dei 1000 dollari di reddito pro capite nel 2017 non dovrebbe essere un mero dato statistico ( alla  Trilussa per intenderci). Diversamente sarà difficile consolidare nel medio lungo periodo un equilibrio sociale entro cui possa trovare forma un reale ed armonico sviluppo della  giovane repubblica rwandese. Magari riflettendo che il modello  spesso citato di Singapore, come esempio a cui tendere, di cui troviamo parziale conferma nei trend economici richiamati, ha una sua specificita'. La citta' stato asiatica ha esattamente la meta' dei cittadini rwandesi, tutti occupati nei  servizi, senza avere milioni di contadini a cui pensare: una mega Kigali senza le campagne. 
Ma il Rwanda   non e' solo Kigali.

venerdì 22 marzo 2013

Il Seminario di Rwesero danneggiato dalle intemperie della stagione delle grandi piogge

Il tetto della casa dei professori dopo la tempesta
La grande stagione delle piogge di questo periodo ha lasciato il segno sul Piccolo Seminario di Rwesero. Come ci segnala il rettore Don Paolo Gahutu, nella serata di lunedì una forte turbolenza si è infatti abbattuta sul seminario. Il forte vento che accompagnava la pioggia ha colpito i numerosi alberi del parco danneggiandoli e abbatendone uno che  è  caduto sul tetto dell'alloggio dei professori, ha inoltre divelto le lamiere del tetto di un altro edificio. Anche il vicino Rwesero Beach, il punto di ristoro della diocesi antistante il lago, ha subito alcuni danni nella recinzione.Fortunatamente non ci  sono stati problemi per le persone, ma indubbiamente i danni  provocati da questa vera e propria tempesta si faranno sentire sulle magre casse del Seminario.

mercoledì 20 marzo 2013

Kigali: il nuovo Papa chieda perdono ai rwandesi


Papa Francesco I
L’elezione del cardinale Jorge Mario Bergoglio alla sede petrina con  il nome di Papa Francesco è stata accolta con una certa sorpresa in Rwanda, ben rappresentata dall’affermazione di quel vescovo rwandese che, subito dopo l'annuncio,  confessava candidamente che, non conoscendolo, faceva affidamento sulla bontà della scelta dei cardinali elettori. In realtà, passati i primi giorni di sorpresa, dopo alcuni articoli di studio del nuovo Papa curati anche da giornalisti stranieri,  sulla stampa locale l'interesse per il nuovo Papa assume una connotazione particolare che si estrinseca in un'esplicita richiesta: Papa Francesco, in coerenza con quelli che sembrano esssere i principi ispiratori del suo papato, dovrebbe finalmente decidersi  a chiedere  perdono per quanto la Chiesa locale viene accusata di aver fatto, attraverso suoi ministri, durante la tragedia rwandese del 1994. Si parte con  l’editoriale de The New Times del 17 marzo: “Nessun paese più del  Rwanda gradirebbe che il Vaticano manifestasse qualche segno di contrizione per il passato. Le persone tradite da alcuni membri della Chiesa hanno bisogno che si chiuda questa vicenda"; poi arriva l’intervento di ieri di uno dei principali editorialisti della stessa testata, Joseph Rwagatare,  "nel caso del Rwanda, è ragionevole aspettarsi che il Papa del popolo (come si comincia a conoscerlo) riconosca la complicità della chiesa nel genocidio del paese, si scusi e chieda perdono ...", per finire con  i commenti di diversi lettori che condividono l'auspicio per potersi riconciliare con una chiesa cha hanno abbandonato, proprio per i comportamenti passati.
 Naturalmente non sappiamo che cosa il nuovo Papa farà in proposito. Possiamo solo segnalare quanto fatto dal cardinal  Jorge Mario Bergoglio, primate d’Argentina, in un contesto che vedeva il suo popolo uscire da una situazione fortemente conflittuale e drammatica, con diverse analogie, seppur su scala diversa, con la tragedia rwandese, vissuta dal suo paese nel periodo della dittatura (1976-1983).
Parlando di quel periodo il cardinal Bergoglio, in una intervista del 2002 ripresa in “Francesco, un Papa dalla fine del mondo”, un instant book di Gianni Valente per le   edizioni Emi, afferma: «Siamo parte del nostro popolo. Partecipiamo con esso del peccato e della grazia. Possiamo annunciare la gratuità del dono di Dio solo se abbiamo sperimentato tale gratuità nel perdono dei nostri peccati. Nel 2000 la Chiesa argentina ha fatto, anche pubblicamente, un periodo di penitenza e di richiesta di perdono alla società, pure in riferimento agli anni della dittatura. Nessun settore della società argentina ha chiesto perdono allo stesso modo».
Mentre nel 2007, allorquando la giustizia argentina condannò  all’ergastolo un sacerdote dichiarato colpevole di sette omicidi e di altri crimini, il card Bergoglio, senza scomodare il Papa regnante, a nome della conferenza episcopale argentina firmò un documento in cui si diceva che “i passi che la giustizia compie nel chiarimento di questi fatti devono servire a rinnovare gli sforzi di tutti i cittadini nel cammino della riconciliazione e sono un appello ad allontanarci sia dall’impunità che dal rancore”. E ancora, “Se qualche membro della Chiesa, qualunque fosse la sua condizione, avesse avallato con il suo consiglio o la sua complicità qualcuno di questi fatti (la repressione violenta), avrebbe agito sotto la sua responsabilità personale, errando o peccando gravemente contro Dio, l’umanità e la sua coscienza”.

martedì 19 marzo 2013

Il puzzle del Kivu

Segnaliamo ai nostri lettori un'analisi particolarmente ampia della situazione venutasi a creare negli ultimi giorni nel Kivu. L'approfondimento è apparso sul  quotidiano on line L'Indro ed è stato  curato da Fulvio Beltrami, un ex cooperante italiano che da free lance  copre da Kampala tutta l'area dei grandi laghi. Dal pezzo proposto emerge un quadro particolarmente complesso e in continua evoluzione, in cui si muovono diversi protagonisti, con gruppi che nascono, muoiono o si frazionano dall'oggi al domani, e con i paesi confinanti che si muovono secondo dinamiche non sempre facili da comprendere.
Leggi l'articolo cliccando qui.

P.S. Nella giornata di ieri, uno dei piu' controversi protagonisti di questa pericolosa saga, il generale ribelle Bosco Ntaganda, detto Terminator, a sorpresa, si e' consegnato all'ambasciata americana di Kigali. Ex ufficiale della RDC e ancor prima, negli anni novanta, militante del FPR, era colpito da un mandato di arresto internazionale in quanto accusato dalla Corte penale internazionale-CPI di crimini di guerra e contro l'umanita.
La spiegazione di un simile gesto e delle relative dinamiche sorpassa di molto le capacita' di analisi del vostro blogger. Ricordiamo solo, per completezza d'informazione, che nè gli USA nè il Rwanda sono tra i sottoscrittori dello Statuto di Roma che ha dato vita alla CPI.

domenica 17 marzo 2013

Indice di sviluppo umano-HDI: Rwanda solo al 167° posto del ranking mondiale

Ogni anno  l’UNDP, il programma di sviluppo dell'ONU, pubblica  il Rapporto sullo Sviluppo Umano che fotografa la situazione sociale ed economica dei vari paesi del mondo sintentizzata nell' indice di sviluppo umano (HDI). 
Si tratta di un indice  introdotto in alternativa alle misure convenzionali di sviluppo nazionale, come il livello di reddito e il tasso di crescita economica, che fornisce una definizione più ampia di benessere basandosi su una misura composita di tre dimensioni fondamentali dello sviluppo umano: la salute, l'istruzione e il reddito.Il Rapporto 2013, rilasciato nei giorni scorsi a Città del Messico, ci consegna una fotografia del Rwanda non propriamente in linea con quella che è la rappresentazione comunemente diffusa dai media internazionali: quella di un paese  da additare quale esempio da seguire sulla via dello sviluppo per gli altri paesi del sud del mondo. Magari si enfatizzano aspetti più appariscenti che sostanziali, come fa questa mattina The Sunday Times che  presenta così i risultati del Rapporto:"Il Rwanda ha ottenuto 0,434 nell'HDI classificandosi 76esimo su 187 paesi  nella promozione della parità dei sessi". Come si vede si bada più al politically correct che alla sostanza. Purtroppo l’HDI che emerge, pari appunto allo 0,434 come correttamente riferisce The Sunday Times, colloca il Rwanda al  167 esimo posto sui 187 paesi presi in esame, la medesima posizione che occupava nel 2007.  
Lascia sorpresi anche noi costatare che, al di là delle realizzazioni in campo economico e sociale di cui da qualche anno ci sforziamo di dar conto su questo piccolo blog, nell’ultimo quinquennio il Rwanda sia rimasto inchiodato a questa per niente gratificante posizione di coda nel ranking mondiale. Anche all’interno della propria area geografica, il Rwanda non è riuscito a portarsi al livello degli  altri paesi, collocandosi al di sotto della media regionale dei paesi dell’area subsahariana, pari al 0,475. Su base continentale, il Rwanda si pone in una posizione mediana, lasciandosi alle spalle 19 paesi africani ma avendone davanti una trentina. Sono dati che dovrebbero far riflettere i responsabili politici del paese a cui, evidentemente, consiglieri internazionali un po’ troppo compiacenti, come Tony Blair, non fanno un buon servizio, mancando di evidenziare anche le aree critiche necessarie di intervento. Come da tempo andiamo sottolineando, oltre i confini della capitale esiste un altro Rwanda i cui stili e livelli di vita evidentemente concorrono ad abbassare quei parametri su cui si basa la determinazione dell'HDI.
I principali indicatori riferentesi al Rwanda, su ognuno dei quali meriterebbe fosse fatta una riflessione, sono consultabili cliccando qui.
HDI: Trends 1980-2012

lunedì 11 marzo 2013

Festa patronale al Petit Séminaire di Rwesero



Sabato 9 di marzo il Petit Séminaire di Rwesero ha  festeggiato san Domenico Savio,  al quale il seminario è dedicato. Una festa molto sentita dall'intera comunità degli attuali studenti, ma anche dai numerosi ex studenti che qui hanno iniziato il loro percorso formativo verso il  sacerdozio per alcuni e di preparazione a recitare un ruolo da cristiani impegnati nella vita civile e professionale per moltissimi altri. Numerosi quindi erano gli  ex  seminaristi presenti, passati da questa grande scuola a partire dal lontano 1956, anno di fondazione  del seminario. Numerosi erano anche i genitori degli studenti che hanno voluto vivere questa giornata particolarmente significativa a fianco dei loro filgli. La cerimonia religiosa è stata preceduta dalla lettura  un messaggio del Nunzio Apostolico in Rwanda, S.E. mons Luciano Russo, che non ha potuto  partecipare  alla festa essendo rientrato in Italia per il grave lutto che lo ha colpito in questi giorni per la perdita del padre.Nel messaggio, il Nunzio ha ricordato gli esempi di santità del Patrono, San Domenico Savio,« un gigante dello spirito... un eroe di virtù cristiane ». secondo Pio XI,  che aveva come principio di vita “ l’amore di Gesù Eucaristico e della Vergine Maria, la purezza di cuore, la santificazione delle azioni ordinarie e lo zelo per guadagnare tutte le anime”. La Messa è stata celebrata dal Vescovo mpns. Servilien Nzakamwita, che nel Seminario di Rwesero ha iniziato i suoi studi.Alla cerimonia religiosa ha  fatto seguito un  momento conviviale allietato dall'animazione dei giovani seminaristi che si sono esibiti in canti, danze e reciteGrande animatore della giornata è stato il Rettore del Seminario, Don Paolo Gahutu, da qualche mese alla guida della struttura in una nuove sfida del suo impegno sacerdotale. Nel suo intervento di saluto, Don Paolo   ha rappresentato la situazione dell Seminario nel suo insieme, sottolineando i problemi con cui  è chiamato quotidianamente a misurarsi e presentando i progetti per il  futuro. In particolare, ha sollecitato il sostegno degli ex seminaristi, che si sono affermati anche nella società,  e dei genitori, perchè non facciano mancare il loro sostegno, attraverso la raccolti di fondi, perchè anche gli studenti più poveri che sentono la chiamata al sacerdozio possano accedere al percorso di studio offerto dal Seminario.Non è certo semplice, ma siamo certi che Don Paolo saprà portare al Petit Séminarie tutto il bagaglio della sua grande esperienza e spiritualità e  saprà dare a questa gloriosa istituzione, vero vanto,insieme agli altri Petits Séminaires, della Chiesa rwandese, una rinnovata mission per portare al sacerdozio giovani preparati e adeguatamente vagliati e consegnare alla società civile rwandese laici cristiani,  in grado di incidere nelle dinamiche sociali per la loro preparazione culturale e per la convinzione della loro fede. 

sabato 9 marzo 2013

Eccellono gli studenti delle scuole cattoliche rwandesi

I dati forniti  dal  Ministero dell'Istruzione relativi all’andamento dei risultati scolastici conseguiti dagli studenti che si sono sottoposti agli esami al termine del ciclo scolastico secondario, come già nel passato, evidenziano come gli studenti delle scuole cattoliche eccellano nelle diverse classifiche.
In particolare si sono fatti onore gli studenti dei diversi  Petits Séminaires operanti in Rwanda, quelli di  Rwesero, di Nkumba, di Nyundo,di Kabgayi e di  Karubanda, ma anche quelli  di altre scuole tenute da religiosi come Groupe Scolaire San Giuseppe Kabgayi, Groupe Scolaire St. André, Ecole de Sciences de Byimana, Groupe officiel de Butare. Anche le studentesse della scuola femminile GS St Bernadette de Save-Huye sono segnalate tra quelle con i punteggi più alti. Lo stesso Ministro della Pubblica Istruzione, Vincent Biruta, ha riconosciuto questa leadership educativa delle scuole cattoliche, sottolineando  come "Le scuole cristiane come quelle guidate da suore e religiosi hanno sempre a cuore i propri studenti, sono dotate di un'ottima struttura gestionale e organizzativa, dedicano tempo importante agli studenti e pregano sempre per loro".
Per spiegare il segreto di  questa performance delle scuole cattoliche, The New Times ha visitato la Byimana Science School, (ex Ecole de Science de Byimana), fondata nel lontano 1952 e gestita dai Fratelli Maristi a Ruhango nella provincia meridionale, che ha piazzato ben quattro dei suoi studenti fra i primi dieci nelle materie scientifiche. Secondo il cronista, già entrando nella scuola, non si può non notare la serenità e il silenzio e come tutti gli studenti siano in classe ad ascoltare i loro insegnanti. Sottolineatura quanto mai opportuna visto che in altre scuole  capita spesso di imbattersi in studenti che bighellonano all’esterno delle aule  durante l’orario delle lezioni. Secondo il preside,  fratel Alphonse Gahima, il successo dipende da vari fattori tra cui essere una scuola emanazione della chiesa che richiede un certo livello di impegno religioso tra gli studenti, avere livelli elevati di disciplina tra gli studenti e  un efficiente sistema di gestione della scuola.E’ la vocazione educativa della Chiesa  come completamento di quella primaria di predicazione del Vangelo, la vera discriminante che fa la vera differenza, secondo  Hahima, rispetto alle altre scuole. C’è poi da sottolineare la particolare attenzione al rispetto delle regole e della  disciplina a cui sono chiamati tutti gli studenti, l’attenta gestione del corpo insegnanti e l’organizzazione didattica ed extra didattica che impegnano completamente gli studenti, ai quali viene anche inculcata una particolare attenzione alla lettura .
Come si vede un buon modello a cui ispirarsi, anche per alcune scuole cattoliche che con il tempo hanno perso un po’ dello smalto iniziale,  quando a partire dagli inizi del periodo coloniale  furono pioniere nell’istruzione del popolo rwandese. Quante strutture anche importanti sparpagliate sul territorio rwandese potrebbero essere rilanciate, anche ripensando i contenuti didattici per renderli più spendibili anche sul mercato del lavoro locale, dove a fianco delle tradizionali attività riconducibili all’agricoltura se ne stanno affacciando di totalmente nuove. Un discorso a parte meritano i numerosi Petits Séminaires; magari ne riparleremo in futuro.

venerdì 8 marzo 2013

Per l'elettrificazione rurale, il Rwanda tenta nuove vie

Il Governo rwandese ha presentato ieri un nuovo piano per l’elettrificazione dei villaggi rurali a livello nazionale che supera il precedente che prevedeva di portare l’elettricità ad almeno il 70 per cento della popolazione entro il 2017, distribuendo l’elettricità attraverso le reti tradizionali. Poiche' uno studio condotto dal Ministero delle Infrastrutture ha ormai accertato che, con l'attuale ritmo di elettrificazione, si sarebbe raggiunto solo il 33 per cento dei rwandesi entro la data prevista, si e' deciso di cambiare totalmente prospettiva. Da qui in avanti si punterà tutto sui pannelli solari, sullo sviluppo delle mini reti idroelettriche locali e sull’ulteriore diffusione degli impianti di biogas. Sembra ripetersi per la distribuzione dell’energia elettrica il modello positivamente sperimentato con la telefonia, quando si è bypassato il modello distributivo con la rete fissa passando direttamente al mobile.
La scelta è maturata anche alla luce della convenienza economica; infatti, secondo i calcoli del governo, il progetto iniziale avrebbe comportato un investimento dell’ordine di 800 milioni di dollari che, secondo le previsioni dei tecnici governativi, dovrebbero ridursi a 621 milioni secondo il nuovo approccio, pur con i significativi sostegni finanziari che il governo si propone di offrire ai privati. Il nuovo piano prevede per i pannelli solari la distribuzione di sistemi di base minimali, in grado di alimentare due lampadine e caricare un telefono, dal costo unitario di US $ 70 (Rwf 44. 370),  mentre un secondo impianto dal costo di  US $ 200 (Rwf 126. 811) avrebbe una capacità maggiore e potrebbe anche alimentare un televisore. L’ipotesi è quella  di diffondere 1.200.000 impianti solari che potrebbero consentire di risparmiare, in cinque anni,  fino a 80 milioni di dollari sulle  importazioni di kerosene.
E’ prevista altresì la realizzazione 100.000 impianti di  biogas, completamente sovvenzionati per circa 23.000 famiglie più povere, per una spesa di US $ 17,6 milioni, e agevolati tramite prestiti, per un onere di US $ 2,1 milioni, per le altre 77.000.
Un’altra alternativa è quella delle mini rete idroelettriche alimentate  da 192  siti già individuati, su cui evidetemente andranno realizzate delle mini centrali di produzione, che dovranno fornire energia elettrica a comunità locali in cui dovranno confluire anche le  famiglie finora lontane dai centri abitati.

martedì 5 marzo 2013

Tutta la bellezza del paese delle mille colline


Da poco, ha fatto la sua comparsa in rete questo filmato montato da una troupe americana con il materiale girato nell'estate del 2012 per la realizzazione di uno spot per conto del Dipartimento del turismo. Montando materiale extra e scene tagliate è stato ottenuto questo splendido filmato, un vero omaggio alla bellezza del  Rwanda. Un ripasso nostalgico per chi già conosce il paese delle mille colline e una vera scoperta per tutti gli altri. Buona visione.

sabato 2 marzo 2013

Kivu: firma dell'accordo di pace e spaccatura nel gruppo M23

Neanche il tempo che si asciugasse l'inchiostro delle firme  poste sotto l'accordo regionale di pace per l’Est del Congo, sottoscritto lo scorso fine settimana ad Addis Abeba, sotto l'egida dell'ONU, da Rwanda, Burundi, Repubblica Centrafricana, Angola, Uganda, Sud Sudan, Sudafrica, Tanzania e Congo-Brazzaville, Mozambico e RDC ,che già la situazione si è rimessa in moto. I gruppi armati delle diverse fazioni operanti sul terreno hanno ripreso la loro attività mettendo nuovamente a rischio   la sicurezza dei civili. Il fatto più appariscente è quanto successo all'interno del movimento ribelle M23; il responsabile politico del movimento, l'ineffabile sedicente vescovo di una setta protestante Jean Marie Runiga Rugerero,  che avevamo lasciato poco tempo fa a colloquio con l'inviato di Repubblica Daniele Mastrogiacomo convinto di raccogliere la testimoninza di un vescovo cattolico, è stato espulso dal movimento dal responsabile militare dello stesso M23,  generale Sultani Makenga, con l'accusa di malversazione finanziaria ( di aver messo le mani nella cassa del movimento), di divisionismo, di odio etnico e di sostanziale incapacità politica. La risposta non si è fatta attendere; Jean Marie Runiga Rugerero ha  a sua volta controaccusato di tradimento  il generale con il risultato che i miliziani del M23 si sono divisi fra i due contendenti. Così da oggi, nel Kivu, non bastassero quelli esistenti,  avremmo un gruppo militare in più.