"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


mercoledì 20 marzo 2013

Kigali: il nuovo Papa chieda perdono ai rwandesi


Papa Francesco I
L’elezione del cardinale Jorge Mario Bergoglio alla sede petrina con  il nome di Papa Francesco è stata accolta con una certa sorpresa in Rwanda, ben rappresentata dall’affermazione di quel vescovo rwandese che, subito dopo l'annuncio,  confessava candidamente che, non conoscendolo, faceva affidamento sulla bontà della scelta dei cardinali elettori. In realtà, passati i primi giorni di sorpresa, dopo alcuni articoli di studio del nuovo Papa curati anche da giornalisti stranieri,  sulla stampa locale l'interesse per il nuovo Papa assume una connotazione particolare che si estrinseca in un'esplicita richiesta: Papa Francesco, in coerenza con quelli che sembrano esssere i principi ispiratori del suo papato, dovrebbe finalmente decidersi  a chiedere  perdono per quanto la Chiesa locale viene accusata di aver fatto, attraverso suoi ministri, durante la tragedia rwandese del 1994. Si parte con  l’editoriale de The New Times del 17 marzo: “Nessun paese più del  Rwanda gradirebbe che il Vaticano manifestasse qualche segno di contrizione per il passato. Le persone tradite da alcuni membri della Chiesa hanno bisogno che si chiuda questa vicenda"; poi arriva l’intervento di ieri di uno dei principali editorialisti della stessa testata, Joseph Rwagatare,  "nel caso del Rwanda, è ragionevole aspettarsi che il Papa del popolo (come si comincia a conoscerlo) riconosca la complicità della chiesa nel genocidio del paese, si scusi e chieda perdono ...", per finire con  i commenti di diversi lettori che condividono l'auspicio per potersi riconciliare con una chiesa cha hanno abbandonato, proprio per i comportamenti passati.
 Naturalmente non sappiamo che cosa il nuovo Papa farà in proposito. Possiamo solo segnalare quanto fatto dal cardinal  Jorge Mario Bergoglio, primate d’Argentina, in un contesto che vedeva il suo popolo uscire da una situazione fortemente conflittuale e drammatica, con diverse analogie, seppur su scala diversa, con la tragedia rwandese, vissuta dal suo paese nel periodo della dittatura (1976-1983).
Parlando di quel periodo il cardinal Bergoglio, in una intervista del 2002 ripresa in “Francesco, un Papa dalla fine del mondo”, un instant book di Gianni Valente per le   edizioni Emi, afferma: «Siamo parte del nostro popolo. Partecipiamo con esso del peccato e della grazia. Possiamo annunciare la gratuità del dono di Dio solo se abbiamo sperimentato tale gratuità nel perdono dei nostri peccati. Nel 2000 la Chiesa argentina ha fatto, anche pubblicamente, un periodo di penitenza e di richiesta di perdono alla società, pure in riferimento agli anni della dittatura. Nessun settore della società argentina ha chiesto perdono allo stesso modo».
Mentre nel 2007, allorquando la giustizia argentina condannò  all’ergastolo un sacerdote dichiarato colpevole di sette omicidi e di altri crimini, il card Bergoglio, senza scomodare il Papa regnante, a nome della conferenza episcopale argentina firmò un documento in cui si diceva che “i passi che la giustizia compie nel chiarimento di questi fatti devono servire a rinnovare gli sforzi di tutti i cittadini nel cammino della riconciliazione e sono un appello ad allontanarci sia dall’impunità che dal rancore”. E ancora, “Se qualche membro della Chiesa, qualunque fosse la sua condizione, avesse avallato con il suo consiglio o la sua complicità qualcuno di questi fatti (la repressione violenta), avrebbe agito sotto la sua responsabilità personale, errando o peccando gravemente contro Dio, l’umanità e la sua coscienza”.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Basterebbe che ripetesse le ultime 4 righe del tuo post.
É quello che ogni persona qui in Rwanda si aspetta.
In questa settimana sono stato in diversi luoghi religiosi, a partire dal vescovo fino ai posti più umili dove le suore assistono i bambini abbandonati o dove assistono i bambini ed i giovani con handicap. L'impressione è che nella povertà ci sia una religiosità senza pari, mentre più si sale di grado e più é vista come un lavoro, una occupazione. E vissuta anche con un pó di frustrazione, con la consapevolezza di essere tra l'incuidine delle aspettative della gente ed il martello del silenzio di Roma.

Anonimo ha detto...

Le scuse non servono a niente se non sono accompagnate dal pentimento. E la chiesa sta continuando la politica che ha portato al genocidio. Faremmo anche a meno delle scuse, ci basterebbe che ci lasciasse in pace

dragor

mbg ha detto...


Prendiamo atto delle opinioni dell'ineffabile Dragor , insolitamente misurato nel parlare di Chiesa.
Resta da capire se milioni di rwandesi concordano con lui quando invoca che la Chiesa, " ci lasciasse in pace"; deve cioe' cessare tutte le attivita' a favore della promozione umana e dello sviluppo della popolazione?
Chiudiamo scuole, centri sanitari, dispensari, cooperative, asili,centri nutrizionali...?